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Capitolo 1 – Chernobyl

La sera di lunedì 28 aprile 1986 fu una di quelle sere in cui Franco, per ascoltare una notizia del telegiornale fu costretto ad alzare la voce, a gridare, a imporre con la forza del padre padrone il silenzio ai suoi familiari.

Infatti, mentre al telegiornale stava andando il riepilogo delle notizie della sera, al giornalista che stava leggendo il notiziario fu passato un foglietto. Il cronista lo lesse a bassa voce, per capire di cosa si trattasse; subito dopo riprese:

«Ci viene ora portata una notizia ANSA; l’agenzia dice che oggi si sarebbe verificato un incidente in una centrale nucleare in Ucraina…».

«Zitti, zitti. Zitti tutti. Devo sentire!» gridò improvvisamente Franco, il padrone di casa, che non riusciva a capire la notizia coperta dalle sue stesse grida.

Per tutta risposta, con tono sarcastico la moglie, Carla, replicò. «E che sarà mai successo? Chissà cosa dovrai sentire, ma che ti urli!».

Nel trambusto, che si era creato in casa Mancini, il giornalista continuò a leggere la notizia e Franco non poté che udire le ultime parole dette dal conduttore, che così chiuse il telegiornale.

«…Secondo la TASS, non si conosce ancora l’entità dei danni, né la natura dell’incidente. Se vi saranno aggiornamenti, vi forniremo ulteriori informazioni durante il telegiornale della notte. Buona sera».

Quella notizia, data così, in chiusura di un telegiornale della sera, in realtà era già vecchia di due giorni. Le prime informazioni giunte in Occidente non parlavano di Unione Sovietica e, meno che mai, di Chernobyl, che era ancora, a quel momento, un nome assolutamente sconosciuto non solo alla famiglia Mancini, ma a tutti i comuni mortali.

Solo gli esperti internazionali di energia nucleare conoscevano quella centrale e non perché fosse un impianto a rischio, anzi era un fiore all’occhiello della tecnologia sovietica. In quella centrale, i sovietici avevano impegnato per la sua progettazione gli scienziati e gli ingegneri più valenti e per la costruzione erano stati utilizzati tecnici con grande competenza specifica.

L’impegno era così importante che, negli anni ’70, intorno alla centrale sarebbe stata costruita una città fino ad allora inesistente, Prypiat, sulle rive dell’omonimo fiume dal quale aveva preso il nome. In quegli anni, la sua popolazione era cresciuta rapidamente fino ad arrivare a quasi 50.000 abitanti.

Poiché la qualità della vita a Pripyat era più elevata rispetto agli standard dell’Unione Sovietica, erano in molti ad ambire di trasferirsi in quella cittadina modello. La città era moderna e funzionale: ospedali, centri commerciali, due grandi alberghi, numerosi caffè, ristoranti, cinema, teatro, centri sportivi, tra cui una piscina olimpica coperta, che era rimasta attiva fino alla fine degli anni ’90 per il personale della centrale, la quale aveva continuato ad operare con tre reattori funzionanti fino all’anno 2000.

Negli anni dello sviluppo e fino al 1986, anno della sua evacuazione, la città era enfaticamente chiamata anche Atomgrad, Città dell’atomo.

L'inizio del romanzo sopra riportato é disponibile anche in formato pdf.


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Chernobylondon - Piero Paniccia - 2012-2020 - Edizioni del Faro

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